Nach dem Motto „Zweck heiligt die Mittel“ erlaube ich mir, hier das letzte Woche auf Salto erschienene und leider wenig beachtete Interview mit Andreas Bona wiederzugegen. Und zwar mit der Bitte, dass alle, die sich mit der künftigen Gestaltung unserer Autonomie, unserer Region und natürlich Europaregion beschäftigen, sich diese Außenperspektive auf sich wirken lassen. Wer europäisch argumentiert, sollte europäisch handeln. Der Konvent wird Weichen setzen, solche oder solche.
Freddo vicinato
Si apre una fase di raffreddamento fra gli autonomisti bellunesi e i «cugini» sudtirolesi e trentini. L’elezione a Strasburgo di Dorfmann non ha portato alla svolta sperata?
Due anni fa, di questi tempo, il movimento Belluno autonoma Regione Dolomiti (Bard) festeggiava con l’Svp la rielezione a Strasburgo di Herbert Dorfmann, sospinto anche da uno storico risultato nella vicina provincia (Svp appena sotto il 10% e oltre 6 mila preferenze). A qualche osservatore era parso che quel passaggio potesse segnare una svolta, che la condivisione della rappresentanza in Europa fosse il preludio di una stagione di maturazione di progetti comuni fra le tre province dolomitiche, malgrado l’assimetria istituzionale (Trento e Bolzano a statuto speciale, Belluno da decenni alla vana ricerca di un riconoscimento statale dell’esigenza di uno status di governo differenziato).
Pareva insomma rafforzarsi in qualche modo la prospettiva caldeggiata dagli autonomisti bellunesi era la costruzione progressiva di un percorso per arrivare a una regione dolomitica comprendente le tre province autonome.
Poi, con il consolidarsi a Roma della stagione renziana, l’attenzione di Trento e Bolzano verso i progetti condivisi con Belluno è andava via via scemando, mentre di pari passo avanzava la contrattazione con il governo centrale in difesa delle prerogative delle due Province autonome.
«È in questo contesto di crescente disinteresse sostanziale da parte dei nosti vicini che abbiamo maturato la consapevolezza di essere finiti in un vicolo cieco e che i nostri amici trentini e bolzanini in realtà non avessero colto il senso storico dell’alleanza che avevamo proposto. A completare il quadro deludente è stata la loro adesione acritica a tutti i provvedimenti governativi che demoliscono l’assetto istituzionale bellunese quel poco di autogoverno residuo». (Andrea Bona, vicepresidente del Bard)
L’esponente del Bard allude in particolare (ma non solo) alla riforma costituzionale, che se da un lato tutela appieno gli Statuti speciali, dall’altro mortifica pesantemente le aspirazioni ultradecennali di uno status differenziato anche per il territorio alpino bellunese orfano pure della vecchia Provincia ordinaria. Patt e Svp, così come l’intero centrosinistra autonomista, appoggiano con entusiasmo la riforma Boschi, al contrario, il movimento bellunese si schiera invece «con convinzione» per il no al referendum previsto in autunno. Ma a indispettire il Bard è più in generale l’atteggiamento delle classi dirigenti di Trento e di Bolzano e delle rispettive rappresentanze parlamentari cui si rimprovera di non essersi spese realmente a sostegno della battaglia dei vicini dolomitici.
Al contrario, i parlamentari di maggioranza eletti in Trentino Alto Adige hanno votato e celebrato con calore anche la legge Delrio, de profundis per le Province ordinarie, spogliate di competenze, personale e non più elette dai cittadini. Il risultato, spiega il Bard, è che a Belluno la situazione peggiora giorno per giorno. Vengono smantellati servizi, alcuni enti (come la Camera di commercio) si fondono con la lontana Treviso per razionalizzare la spesa, nelle vallate continua l’esodo dei giovani che non trovano occupazione, lo stesso ente provinciale è sull’orlo del dissesto finanziario.
salto.bz: Sono i risultati della desertificazione istituzionale: si chiede a Stato e Regione di trasferire competenze legislative, finanziarie e amministrativa, ma si ottiene il contrario. Il che è tanto più grave in un’epoca di crisi economica.
Andrea Bona: «Purtroppo, è in atto anche un’operazione sedativa, orchestrata politicamente dal sottosegretario Gianclaudio Bressa e dal deputato Roger De Menech. In sostanza si pensa che i bellunesi si possano tranquilizzare accontentandoli con qualche finanziamento estemporaneo, specie mediante i famosi fondi per i comuni di confine cui sia Trento sia Bolzano destinano 40 milioni annui per progetti “transfrontalieri”. Superfluo osservare che rispetto alle esigenze della nostra area montana, stiamo parlando di poca cosa: il solo dissesto idrogeologico richiede interventi per oltre un miliardo di euro.
La Provincia di Belluno ormai non ha soldi nemmeno per tappare le buche sulle strade principali. Questa elemosina, per quanto utile a un territorio disastrato, è solo una goccia e sta diventando un boomerang per Belluno, un modo anche offensivo di evitare il nocciolo della questione: l’assetto istituzionale della nostra provincia e l’urgenza dell’attribuzione di strumenti democratici per mettere in atto politiche adeguate per un territorio interamente montano inserito in una regione di pianura come il Veneto».
Non a caso molti Comuni hanno votato per cambiare Regione.
«Ma poi vengono bloccati: verso Trento e Bolzano dal rifiuto di quell’ente, verso il Friuli dalle manovre e scontri nel Pd, che sta facendo di tutto per fermare il trasferimento territoriale di Sappada, bloccato quando ormai il ddl era atteso in aula al Senato. La stessa presidente del Friuli nonché vicesegretaria del Pd, Debora Serracchiani, era fortemente a favore, ma a quanto pare il sottosegretario Bressa ha una posizione ostile, forse perché immagina l’effetto a catena che tale variazione potrebbe innescare».
In questo scenario si inserisce la vostra presa di posizione sul referendum.
«In realtà i referendum sono due. Alla riforma costituzionale, di stampo centralista, diciamo chiaramente no, anche perché fra l’altro cancellerebbe la Provincia facendo svanire il nostro sforzo di riavere un ente eletto dai cittadini.
L’anno scorso avevamno siglato in proposito un preciso patto elettorale col Pd nazionale: il nostro sostegno alle regionali venete in cambio di una legge che ripristini l’elettività della nostra Provincia. Un’intesa siglata a Roma con il vicesegretario nazionale Guerini, Bressa e De Menech, poi tramutata in una legge che porta anche la firma di Lorenzo Dellai. Ma il ddl giace in Parlamento, pare che sia addirittura il governo a mettersi di traverso.
Idem per l’ipotesi di passaggio dell’intera Provincia di Belluno nella Regione autonoma Friuli Venezia Giulia: la stessa presidente Serracchiani è assolutamente favorevole. Con lei avevamo già ragionato sull’eventuale status differenziato garantito a Belluno in quel nuovo contesto istituzionale. In caso di variazione territoriale, saremmo stati equiparati a una Città metropolitana e con competenze aggiuntive. Ma di nuovo si è messo di traverso qualcuno in ambienti governativi romani. Risultato: continua il declino e non arriva nessuna risposta costruttiva».
In autunno la Regione Veneto dovrebbe indire anche un suo referendum sul’autonomia...
«Certo e noi non possiamo dire di no a chi propone più autogoverno. Tuttavia, l’autonomia del Veneto non è certo la soluzione per Belluno.
A noi serve un ente territoriale che sia messo in grado di governare la montagna, che abbia risorse proprie e anche potere legislativo. Qua, senza politiche adeguate, rischiamo davvero di perdere interi insediamenti alpini esistenti da migliaia di anni.
Peccato che Trento e Bolzano non abbiano colto il senso di queste visioni sulla Regione Dolomiti, stanno perdendo un’occasione storica di costruire fin da subito un percorso profondo e innovativo anche per rafforzare le loro autonomie».
E quindi che cosa intendete proporre in concreto ora?
«Non ci rimane che pretendere intanto lo status di Regione ordinaria: questa sarà la nostra grande battaglia politica. Senza tregua. Lo stesso ostacolo costituzionale del numero minimo di abitanti, fissato da tempo a un milione, si può superare, se c’è davvero la volontà di un legislatore che riconosca l’urgenza di dare soluzione al drammatico problema vissuto in quest’epoca dalla nostra comunità alpina. Esistono già Regioni sotto quella soglia demografica e con meno abitanti dei 200 mila bellunesi.
Questo è il nostro obiettivo minimo e ci faremo sentire con forza, coinvolgendo le nostre popolazioni, che sono sempre più attente e sensibili a questo tema fondamentale. Anche l’ex premier Enrico Letta, quando era a palazzo Chigi, nonché il ministro Graziano Delrio più recentemente, hanno riconosciuto che Belluno ha necessità di uno status autonomo. Ecco, noi non ci fermeremo finché il risultato non arriverà».
In tutto questo, per tornare al rapporto con Trento e Bolzano, è curioso che le due Province autonome anziché coltivare un’alelanza strategica in prospettiva storica, spingano Belluno ad attrezzarsi da sola o magari a passare in Friuli, in una condizione che in futuro potrebbe farsi particolarmente concorrenziale, specie in ambiti come il turismo e l’agricoltura.
«Sappiamo bene che il nostro territorio ha grandi potenzialità e margini di crescita che diventeranno realtà quando ci doteremo di nuovi strumenti democratici di governance locale.
Le classi dirigenti di Trento e Bolzano si sono affidate al loro rapporto preferenziale con il governo Renzi, il che ha costituito la loro garanzia finora. Hanno ottenuto molto da questa linea politica, ancorata in sostanza ai retaggi del passato nei rapporti con Roma; ma non è detto che possa funzionare anche in futuro, servono nuovi orizzonti. Già in autunno con il referendum costituzionale e i due voti sull’autonomia in Veneto e in Lombardia lo scenario potrebbe modificarsi sensibilmente.
Non dimentichiamo che il disegon neocentralista supportato anche dal Trentino Alto Adige è prevalentemente il tentativo di limitare i poteri delle due Regioni, Lombardia e Veneto appunto, che in fondo forniscono allo Stato la maggior parte delle entrate fiscali. Noi abbiamo un rapporto stretto e fruttuoso con Herbert Dorfmann, che abbiamo invitato a votare alle europee del 2014. Lui è una persona di grande intelligenza che ci offre aperture molto significative.
Ecco, credo che Trento e Bolzano possano ancora ripensarci e mettere realmente a fuoco una strategia che risponda anche ai loro interessi. L’auspicio è che riescano a cogliere la forza dell’intuizione di costruire una regione dolomitica nella cornice europea. Si tratta di avere il coraggio di fare un salto abbandonando l’illusione che lo statuis quo uscito dalla Seconda guerra mondiale sia perpetuo. Ricordo che già anni fa il senatore bolzanino Francesco Palermo mi disse che in Trentino Alto Adige nessuno pensa che le Province, le Regioni o lo Stato possono finire, hanno una durata limitata: o si costruisce il futuro o si rischia di finire intrappolati in dinamiche negative che non si è più in grado di influenzare».
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